L’AMERICA LATINA DEL CARDINAL BERGOGLIO. Tra imperialismo della globalizzazione e progressismo adolescenziale

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Un documento significativo quello che pubblica di seguito TERRE D’AMERICA. Utile a comprendere la visione del continente latinoamericano dell’attuale Papa. Bergoglio lo scrisse il 4 aprile del 2005, prologando il libro del dott. Guzmán Carriquiry, attuale Segretario generale della Pontificia commissione per l’America Latina. Il libro uscì con il titolo Una apuesta por América Latina e venne pubblicato da Sudamericana nello stesso anno.

di Jorge Mario Bergoglio S.J.

E’ per me molto stimolante presentare questo libro del Dott. Guzmán Carriquiry, Una apuesta por América Latina, che la casa editrice Sudamericana ha il merito di pubblicare e offrire alla lettura e allo studio.

Considero il libro del Dott. Carriquiry la prima grande opera d’insieme, che ricapitola, sintetizza e proietta la realtà latinoamericana nella nuova fase storica apertasi verso la fine del XX secolo e tuttora in via di sviluppo. Infatti, la vasta produzione bibliografica sull’America latina (dalla “sociologia impegnata” alla teoria della dipendenza, dalla teologia della liberazione ai cristiani per il socialismo, dalle denunce a tinte forti ai dibattiti sulle strategie rivoluzionarie) è andata via via esaurendosi sin dagli anni ottanta. Ha dato certamente contributi di differente valore e apporti significativi ma, ultimamente, ha pesato di più la forte connotazione ideologica, con la sua riduttiva visione della realtà. Soprattutto dopo il crollo dell’impero totalitario del “socialismo reale”, queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre. Poco tempo dopo, il rinato ricettario neoliberale del capitalismo vincitore, alimentato dalle utopie del mercato autoregolatore, avrebbe mostrato anch’esso tutte le sue contradizioni e limitazioni. L’opera del Dott. Carriquiry offre una visione d’insieme nuova, che va al di là di quelle visioni ideologiche inadeguate, incapaci di abbracciare l’intera realtà dei nostri popoli e di rispondere ai loro desideri, ai loro bisogni e alle loro speranze. Risulta così molto opportuno il sottotitolo di questo libro Memoria y destino históricos de un continente.

Questa è l’ora degli educatori e dei costruttori. Non possiamo continuare a rimanere impantanati nel lamento, nelle litanie delle denunce, nei circoli viziosi dei risentimenti e degli irrigidimenti, neppure nello scontro permanente. Questo libro, di ampio respiro, vibra di passione per la vita e il destino dei popoli latinoamericani; una passione che alimenta un’intelligenza serena nell’affrontare le questioni cruciali del presente, in cammino verso il loro futuro prossimo. Nei prossimi due decenni l’America latina si giocherà il protagonismo nelle grandi battaglie che si profilano nel XXI secolo e il suo posto nell’incipiente nuovo ordine mondiale.

Non ho le competenze politiche e tecniche necessarie per entrare nel dibattito su tanti problemi – non è questo il compito di un Pastore della Chiesa – ma nel libro si riassumono con lungimiranza, saggezza e determinazione le sfide ineludibili per l’educazione e la costruzione di un cammino di speranza.

Innanzitutto si tratta di percorrere le vie dell’integrazione verso la configurazione di un’Unione Sudamericana e della Patria Grande Lationoamericana. Da soli, separati, contiamo veramente poco e non andremo da nessuna parte. Sarebbe un vicolo cieco che ci condannerebbe alla condizione di segmenti marginali, impoveriti e dipendenti dalle grandi potenze mondiali. “E’ una grande responsabilità – affermava Papa Giovanni Paolo II nel suo discorso inaugurale della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano a Santo Domingo (12-X-1992) – favorire il processo d’integrazione avviato da questi popoli uniti definitivamente nel cammino della storia dalla stessa geografia, la fede cristiana, la lingua e la cultura”. Su questa via maestra, e anche per il fatto di essere “estremo Occidente”, regione emergente, cattolica e per costituire una specie di “classe media” fra le nazioni nell’ordine mondiale, l’America Latina può e deve confrontarsi con le esigenze e le sfide della globalizzazione e i nuovi scenari della drammatica convivenza mondiale, partendo sempre dagli interessi e dagli ideali che le sono propri.

A sua volta, l’America Latina ha bisogno di esplorare, con una buona dose di realismo pragmatico – che si impone anche per la propria vulnerabilità e gli scarsi margini di manovra – nuovi paradigmi di sviluppo che siano in grado di suscitare una gamma programmatica di azioni: crescita economica autosostenuta, significativa e persistente; lotta alla povertà e per una maggior equità in una regione che ha il triste primato delle maggiori diseguaglianze sociali in tutto il pianeta; riforma dello Stato e della politica affinché siano effettivamente al servizio del bene comune. Tutto ciò è chiaramente descritto e sviluppato nel testo e costituisce il suo filo conduttore. Tuttavia, Carriquiry mette in guardia con estrema lucidità sui cul-de-sac dove vanno s’infilano le prospettive meramente economiciste, le lotte di potere e i progetti politici autoreferenziali. Niente di solido e duraturo si potrà ottenere se non viene forgiato attraverso una vasta opera di educazione, mobilitazione e partecipazione costruttiva dei popoli – ovverossia, delle persone e delle famiglie, delle diverse realtà comunitarie e delle associazioni, di una comunità organizzata – che metta in moto le migliori risorse umane che vengono dalla nostra tradizione e che riuniscano le grandi convergenze popolari e nazionali attorno a contenuti ideali e obiettivi strategici per il bene comune. Tutto ciò implica lo sforzo di allargare le prospettive di analisi e programmatiche per abbracciare tutti i fattori in gioco della realtà di quella “originalità storico-culturale che chiamiamo America Latina”. Così scrivevano e proponevano i vescovi adunati nella III Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano riunitosi a Puebla de los Angeles nel 1979 abbozzando già all’epoca quell’intreccio di autocoscienza cattolica e latinoamericana di cui l’autore si nutre e che a sua volta alimenta con contributi fondamentali del momento attuale.

Nel libro del Dott. Carriquiry colgo il tentativo lucido e “all’avanguardia” di un’intelligenza cattolica dello sviluppo latinoamericano, riassumendo, riformulando e rilanciando la tradizione dei suoi popoli come l’ipotesi per la costruzione del loro futuro. Ad ogni modo il lettore non si troverà assolutamente con un libro “ecclesiastico”. Il testo sorprende per la sua capacità di sintetizzare molteplici letture e informazioni, è pieno di dati, sviluppa approfondite analisi economiche, politiche, culturali e religiose e abbondano le prospettive storiche dall’inizio alla fine. E’ destinato a suscitare un grande interesse ed è aperto al dibattito pubblico, al di là di confini angusti e delle etichette pregiudiziali. Il Dott. Carriquiry sa dare ragioni – e buone ragioni!- delle sue affermazioni. Allo stesso tempo illustra una grande fiducia nella potenza della fede cattolica dei nostri popoli, sia in chiave d’intelligenza e trasformazione della realtà che come risposta agli aneliti più profondi di verità, di giustizia e di felicità che battono nel cuore dei latinoamericani e nell’autentica cultura dei suoi popoli sin dalle prime impronte lasciate dall’evangelizzazione. Qui c’è il seme di una nuova creazione in un mondo lacerato.

Leggendo il libro attentamente, non c’è dubbio che l’autore percepisce chiaramente in che misura il destino dei popoli latinoamericani sia strettamente legato al destino della cattolicità, per lo meno in questo XXI secolo. La singolarità cattolica latinoamericana affonda le sue radici nell’evangelizzazione che l’ha primariamente costituita; si manifesta ancora oggi nell’alta percentuale di battezzati, è tradizione viva nei suoi popoli, alimenta la loro saggezza nell’affrontare la vita, permea tutta la realtà e arriva a costituire – all’inizio del terzo millennio – quasi il 50% dei cattolici di tutto il mondo. Sono evidenti anche molte delle loro carenze e, d’altronde è un patrimonio soggetto a una forte aggressione ed erosione. Dilapidare questo patrimonio sarebbe di una irresponsabilità gravissima. Occorre “ricominciare da Cristo”, così come indica S.S. Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte. Siamo chiamati ad una “nuova evangelizzazione” per far sì che Cristo diventi sempre più carne nella vita delle persone, delle famiglie e dei popoli liberando così la sua potente capacità di unità, di carità – che alimenta ogni autentica solidarietà -, di crescita umana, di liberazione e di speranza.

Le enormi problematiche e sfide della realtà latinoamericana non possono essere affrontate né risolte riproponendo vecchi schemi ideologici anacronistici e anche dannosi, neppure propagandondo decadenti sottoprodotti culturali dell’ultra liberalismo individualista e dell’edonismo consumistico della società dello spettacolo.

Stupisce costatare come la solidità della cultura dei popoli americani sia minacciata e indebolita fondamentalmente da due correnti di pensiero deboli. Una, che possiamo chiamare la concezione imperialista della globalizzazione: la si concepisce come una sfera perfetta, pulita. Tutti i popoli si fondono in una uniformità che annulla la tensione fra le diversità. Benson aveva previsto tutto questo nel suo famoso romanzo Il Signore del mondo. Questa globalizzazione costituisce il totalitarismo più pericoloso della postmodernità. Occorre concepire la vera globalizzazione non già come una sfera, bensì come un poliedro: ogni sfaccettatura (l’idiosincrasia dei popoli) conserva la sua identità e particolarità però si uniscono in una tensione armoniosa alla ricerca del bene comune. L’altra corrente che incombe minacciosa è quella che, in gergo familiare, possiamo chiamare “progressismo adolescenziale”, una specie di entusiasmo per il progresso che si esaurisce nelle mediazioni, abortendo la possibilità di uno sviluppo sensato e fondante in stretto rapporto con le radici dei popoli. Questo “progressismo adolescenziale” configura il colonialismo culturale degli imperi ed è in stretto rapporto con una concezione dello Stato che è piuttosto un laicismo militante. Questi due atteggiamenti sono insidie antipopolari, antinazionali, anti latinoamericane, anche se a volte si nascondono dietro maschere “progressiste”. Se calano le energie evangelizzatrici, chi ci rimette sono i nostri popoli. E se i nostri popoli finiscono immersi in cicli periodici di sola modernizzazione, con la consueta carica di anacronismo ideologico e violenza, diventano sempre più marginali perché perdono la loro identità e, di conseguenza, la loro cattolicità.

Forse toccava a qualcuno come l’autore, che unisce la sua condizione e la sua passione di cittadino uruguaiano, del Rio de La Plata, del MERCOSUR, del Sudamerica e dell’America latina, con la sua vasta esperienza maturata nel centro della cattolicità, in Vaticano, offrire una visione realistica, ragionevole e, nel contempo, piena di speranza, che invita a rinnovare la “scommessa per l’America latina”. Mi permetto, dunque, di consigliare vivamente al pubblico più vasto possibile la lettura di quest’opera originale e preziosa, vero evento editoriale.

(Traduzione dallo spagnolo di Mariana Janún)

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